sabato 17 giugno 2017

Intervista a Giuseppe Palumbo

Giuseppe Palumbo è nato a Matera il 12 luglio 1964. Nonostante il suo percorso di studi abbia abbracciato il Liceo Classico e la Facoltà di Archeologia, è diventato uno dei più importanti disegnatori di fumetti italiani.
Esordisce su Tempi Supplementari della Primo Carnera Editore nel 1986 e ben presto il suo personaggio Ramarro (lucertolone antropomorfo, primo supereroe masochista) viene trasferito sulla rivista ammiraglia dell’editore, la gloriosa Frigidaire.
Ha collaborato con le realtà più varie, italiane ed estere, e tramite lo Studio Inventario fornisce un service per l’editoria scolastica e le agenzie pubblicitarie. Tra le altre cose, è il disegnatore degli albi speciali di Diabolik e della sua recente versione modernizzata DK.

È uscito da poco Escobar, con cui Mondadori ha inaugurato la sua nuova linea Oscar Ink: cosa puoi dirci della genesi di questo lavoro?

Si tratta di un vecchio progetto… Circa dieci anni fa, Guido Piccoli, mio amico dagli anni Ottanta, mi propose l’idea di adattare a fumetti gli eventi finali della vita di Escobar, personaggio su cui aveva già scritto due saggi. Facemmo qualche pagina di sceneggiatura, io realizzai le matite di tre pagine con l’idea che avrei messo in piedi uno staff di collaboratori, in primis Michele Benevento alle chine. Proposto in Francia, il progetto fu bocciato e finì nel proverbiale cassetto. Passati gli anni, pensando al film di Di Stefano, con Benicio del Toro nella parte di Escobar, “Paradise Lost”, in procinto di uscire in Italia (era il 2015), Guido torna a propormi l’idea… Io fatti due conti sul tempo a mia disposizione, sapendo di avere un buon contatto in Dargaud, l’ottima Gisèle De Haan, decido di mettermi all’opera. Ancora non sapevamo di Narcos né tantomeno immaginavamo il successo che avrebbe riscosso. Poi sono stati mesi matti e disperatissimi, perché fare un fumetto così non è proprio come fare un film o una serie tv, ma neanche è proprio una passeggiatina in riva al mare… Esce nel dicembre dello scorso anno in Francia e in aprile di quest’anno con il doppio marchio Astorina/Mondadori e di questo sono molto fiero perché Escobar è il primo prodotto editoriale Astorina non legato a Diabolik e il suo mondo.

Spero che non ti offenderai se dico che pur essendo ovviamente molto ben disegnato, l’aspetto che più colpisce della parte grafica di Escobar sono i colori di Arianna Farricella. Sembrano veramente acquerelli, peraltro integrati alla perfezione con i tuoi disegni: come avete proceduto per realizzare le tavole?

Sono molto contento che tu abbia apprezzato i colori di Arianna, ottima colorista ma non solo, visto che è una autrice in crescita. D’altronde anche Dargaud non ha esitato un attimo ad affidarle il compito. Ma lascia che chiarisca la tecnica: io ho disegnato le tavole a mezzatinta, acquerellando la china nera su una speciale carta colorata, la Magnani Annigoni, stupenda carta di puro cotone. Poi Arianna, su una palette più o meno concordata, ha sovrapposto in digitale tinte piatte o sfumate a colorare il mio acquerello. Il risultato, da molti confuso per un tradizionale acquerello, è in realtà un mix analogico/digitale che ci ha permesso di velocizzare il tutto avendo un controllo pressoché totale delle tinte.

Nonostante tu sia ancora relativamente giovane puoi vantare una lunga carriera, iniziata professionalmente sulle pagine di Totem come vincitore di un concorso per autori esordienti nel 1984 (ma poco prima alcuni tuoi lavori avevano fatto capolino nella pagina della posta di Eureka). In oltre trent’anni come è cambiato il mondo del fumetto in Italia? Consiglieresti ancora a un giovane di tentare questa strada?

In trent’anni è cambiato moltissimo, ma credo che non sia cambiata l’ansia di raccontare, che trova nei fumetti la sua via più rapida e personale per realizzarsi. Io avevo di fronte un mercato dominato dalla tradizione di genere (Bonelli, Astorina, Lancio ecc ecc) e dalla creatività più spinta (le riviste); ora le grandi case della tradizione di genere si aprono a nuovi esperimenti e la creatività più spinta cerca e spesso trova in libreria il suo terreno ideale e diventa seriale (penso alla produzione regolarissima, non saltuaria ma quasi programmata di autori come Zerocalcare o meglio di editori come Bao). E poi in più oggi c’è la rete… Perché non tentare?

La tua attività è veramente multiforme e sfaccettata: Diabolik, Martin Mystére, il mercato franco-belga, la produzione autoriale e sperimentale (dal seminale Ramarro ai più recenti Una storia lemming o L’Elmo e la Rivolta), quella colta se non proprio didattica (I Cruschi di Manzù, Uno si distrae al bivio) e addirittura una capatina nel mercato dei comic book come inchiostratore. Ti piace diversificare il più possibile il tuo lavoro o sei spinto da una forte urgenza di sperimentare formati e generi diversi?

Daniele Brolli scrisse di me che ero “autore totale e invisibile”. Forse la sparò grossa, ma la sostanza non è molto lontana. Io sono posseduto dalle storie che disegno e mi lascio possedere dalle storie che incontro sulla mia strada: sono dentro una continua sfida. Conosco il mondo che vivo, attraverso i miei segni e quindi non riesco a star fermo. Riposerò a tempo debito…

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