Il Gotem Studio è una realtà costituita nel 2008 da Dimitri
Fogolin, Paolo Francescutto e Luca Malisan, già animatori dell’Associazione
Culturale Fame Comics. In pochissimi anni sono passati dalle fanzine a
collaborazioni eccellenti con le più varie realtà del mercato fumettistico
mondiale.
In particolare, Francescutto e Malisan sono tra le altre
cose collaboratori regolari della testata bonelliana Dragonero, che a The Game Fortress sarà presente con una
larga compagine di autori.
I lavori dei due si possono ammirare rispettivamente sul
blog www.paolo-gomets.blogspot.com
e sul sito www.malisan.it.
Insieme a Dimitri
Fogolin animate lo studio Gotem. Come si svolge il vostro lavoro e come vi
dividete i compiti? Lo chiedo perché mi sembra che sia anche una sorta di service oltre che un “semplice” studio
di fumettisti.
FRANCESCUTTO: Agli inizi era più una cosa collettiva.
Capitava spesso si lavorasse assieme ad un unico progetto, e
questo ci ha messo nelle condizioni di dover trovare un metodo di lavoro che
rendesse possibile passarci le tavole da colorare l'un l'altro.
Piano piano ognuno ha intrapreso una strada più personale.
Luca ha iniziato a lavorare come disegnatore con risultati
evidenti, sia all'estero che in Italia, Dimitri è stato via via sempre più
impegnato come colorista, sempre molto richiesto, specialmente in Francia.
A me è stato chiesto di diventare collaboratore esterno alla
Bonelli per gestire i coloristi della serie Dragonero.
Tutti e tre però abbiamo avuto modo di sperimentare, per la
fanzine della quale facevamo parte, tutta una trafila di situazioni legate alla
pubblicazione di un albo, dalla progettazione, alla realizzazione alla stampa.
Questo è stato sicuramente molto utile per capire quale
potrebbe essere un problema relativo al lavoro che ora svolgiamo.
In più Luca e Dimitri (quest'ultimo con passato da grafico
per qualche anno) sono due informatici che conoscono bene il linguaggio
digitale, diversamente da me che nasco mosaicista, e questa loro conoscenza ha
sicuramente portato benefici al Gotem.
Per quanto riguarda il “service”, beh, suppongo sia dato
anche dal nostro voler imparare sempre quando qualcosa non ci è familiare, ci
piace informarci e imparare di continuo, cosa indispensabile, credo, in questo
lavoro.
Ognuno si può dire specializzato in un qualche modo, ma
adoriamo le sfide e mantenerci allenati anche in ambiti più disparati che
riguardano il mondo dell'illustrazione in generale, dal fare un fumetto, ad
un’illustrazione ad un logo per una ditta.

Capita anche di collaborare a più mani su uno stesso
fumetto, ma si tratta di situazioni piuttosto rare, perché in genere la “mano”
del singolo si fa notare, e non è così semplice imitare lo stile del proprio
collega.
Per la Francia Luca
ha realizzato, tra le molte altre cose, anche una serie (scritta nientemeno che
da Corbeyran) dedicata alla produzione e alla commercializzazione del vino (un
po’ una saga familiare come ce ne sono diverse sul mercato franco-belga, tanto
da aver creato un vero e proprio sottogenere: per rimanere in ambito alcolico,
pensiamo a Les Maîtres de l’Orge e Chateaux Bordeaux).
Secondo voi il
fumetto ha delle potenzialità anche come veicolo promozionale, fosse anche solo
di una regione o di una cultura e non di un prodotto specifico?
FRANCESCUTTO: In Francia quella cosa è possibile perché la
cultura riguardo al fumetto è differente.
Non è affatto strano che qualcuno comperi un fumetto, pur
non essendo lettore di fumetti, solo perché quell'albo parla di un argomento ad
egli interessante.
Né è strano vedere persone di età e cultura differenti
interessate ad uno stesso fumetto.
In più i fumetti in Francia sono valutati culturalmente
importanti quanto i libri.
In Italia le cose stanno cambiando, sta di fatto che, negli ultimi anni, dei fumettisti sono stati
candidati al premio Strega.
Dubito che vedremo, nel giro di poco tempo, una vera e
propria rivoluzione, anche se lo spero fortemente. Credo però che il pubblico
vada invogliato, educato alla lettura in generale (anche la lettura di libri
comuni è in calo). Quando questo accadrà sono certo che il fumetto sarà visto
come un mezzo di comunicazione degno come qualunque altro. Il fumetto ha
un’enorme potenzialità come veicolo promozionale, può essere portavoce di
infiniti argomenti.
Credo bisogni spingerlo però affinché avvenga, aver più
coraggio a proporlo anche a chi non ne è abituato.
MALISAN: Certamente: il fumetto può avere tutte le
potenzialità che con esso si vorrà esplorare. Il modo in cui ciò viene messo in
pratica deciderà poi se la cosa funziona o meno. Penso che una buona storia
debba comunque essere il motore di qualsiasi iniziativa. Un fumetto che si pone
come obiettivo un messaggio (non solo promozionale, ma anche sociale o etico...
di qualsiasi tipo) non sarà una bella lettura se la comunicazione sovrasta la
narrazione. Avendo una buona idea, l’ambientazione (luoghi e tematiche) può
diventare un ottimo veicolo promozionale. Ed è il caso dei due (riuscitissimi)
fumetti citati.
Ci rendiamo conto che
questa domanda richiederebbe molto spazio per una risposta… comunque: voi come
studio Gotem avete lavorato per i maggiori mercati fumettistici occidentali,
ovvero gli Stati Uniti, la Francia e l’Italia. Quali sono le differenze più
evidenti che avete riscontrato tra queste realtà?
FRANCESCUTTO: Le paghe! :D
Scherzi a parte, le paghe sono parte delle differenze, in
Francia sono generalmente più alte.
Ma la parte più evidente credo siano i tempi di lavorazione.
Per gli USA sono sempre stati molto ristretti, è capitato di
dover fare una cosa come dieci tavole in poco meno di due settimane.
Per la Francia invece (specie qualche anno fa) un albo di 46
tavole poteva essere sviluppato nell'arco di un anno.
Recentemente mi è capitato di doverne fare uno intero in un
mese, e grazie ad una buona organizzazione sono riuscito nell'impresa, con
soddisfazione da parte dell'editor, ma è comunque stata un’eccezione.
Per il mercato italiano, con la Bonelli nello specifico,
posso dire di trovarmi bene su quel lato.
C'è una continua comunicazione con i miei referenti che mi
permette una buona libertà di azione, ovviamente rispettando i tempi di
consegna che sono sempre molto importanti.
MALISAN: Le differenze sono molte. Alcune sono
immediatamente evidenti, perché riguardano proprio la “confezione” del fumetto:
numero di pagine, colori o bianco e nero, dimensioni, periodicità… Differenze
importanti sono anche nella narrazione: il fumetto francese preferisce ritmi di
lettura più lenti; le sue 46 pagine vengono in genere lette nel doppio o triplo
del tempo rispetto alle 96 pagine del fumetto tradizionale italiano. Questo
ovviamente richiede un approccio diverso da parte degli autori. Tante sono
anche le differenze a livello organizzativo, nei rapporti che collegano noi con
la casa editrice e gli sceneggiatori. Tuttavia da questo punto di vista spesso
si trovano grandi differenze anche tra differenti incarichi su uno stesso
mercato. Alla fin fine ogni progetto è un mondo a sé.
Il vostro cammino nel
mondo fumetto comincia da lontano, nel 1997, prima con la fanzine “faMe!”, e
poi nel 2002 con la costituzione dell'Associazione Culturale Fame Comics.
Diverse pubblicazioni interessanti vi lanciano nel mondo del fumetto che conta.
Ci volete raccontare questa bella avventura, di amicizia ancor prima che
professionale?
FRANCESCUTTO: Tutto iniziò con un volantino che parlava di
questo corso di base del fumetto tenuto da Davide Toffolo. Quindici lezioni in
tutto. Come dire di no?
Si era legati specialmente dalla passione per il disegno e
per i fumetti, in più Davide aveva creato un’atmosfera divertente e
coinvolgente, e se pur sono stato un pessimo allievo lo ringrazierò finché
campo.
Ultima “prova” del corso era completare una storia intera,
finendo con la realizzazione di un albetto vero e proprio. Dei partecipanti al
corso alcuni continuarono a trovarsi per creare qualcosa da esso, io fui
latitante per qualche tempo. Li rincontrai, quasi per caso, e scoprii che
avevano già impostato le basi per quella che sarebbe poi diventata la fanzine
prima e piccola casa editrice poi.
Con il gruppo che si era formato non era solamente il
fumetto lo scopo, ma anche un mezzo per accrescere le nostre capacità e per
coltivare un amicizia che si faceva via via più intensa.
Alcuni si specializzarono nello scrivere, altri nel
disegnare, tutti quanti ci arrangiammo come venditori, perché per tirare avanti
(era sempre un’associazione non a scopo di lucro) bisognava vendere quello che
producevamo.
Infatti, visto che l'intera filiera della produzione era
gestita da noi, per poter mandare in stampa gli albi dovevamo anche fare cassa,
e ciò voleva dire andare alle varie fiere del fumetto in giro per l'Italia,
preparare il banchetto e mettere in vendita i nostri prodotti.
Oggi non è più così, c'è internet, c'è Facebook, ora
chiunque può pubblicare a costo zero i propri lavori, senza però maturare
quell'esperienza umana e tecnica che ora reputo importante per la nostra
formazione professionale.
Andare in fiera era poi un ottimo momento di confronto con
altri autori locali e non, si coglieva ogni occasione per mostrare i nostri
lavori ad altri autori già conosciuti, ogni bastonata morale che si prendeva
equivaleva ad una piccola lezione importantissima per migliorarci.
Non abbiamo fatto scuole di fumetto, a parte l'utilissimo
corso di Davide. Facciamo parte di quel gruppo di autodidatti, ognuno aveva un
altro lavoro “vero e proprio”, e il fumetto restava per noi una grande
passione. Via via la qualità migliorava, non si facevano più solo storielle
raccolte in albi, ma veri e propri volumi che ci vedevano in collaborazione con
altre realtà più importanti e serie (la Società Filologica Friulana era una di
queste). Arrivò poi il pellegrinaggio ad Angoulême, per cercare lavoro vero e
proprio. Nel frattempo infatti la voglia di osare era grande, io lasciai il mio
lavoro e la sicurezza economica della fabbrica per dedicarmi solo a questo.
Assieme a Luca (che andò un anno prima di noi) e Dimitri si
andava oltralpe per mostrare i nostri portfolio ad editori francofoni, cosa
quasi impensabile ai tempi qui in Italia. Ricordo ancora adesso, ore ed ore di
coda, per avere due minuti di difficile dialogo (io il francese non lo
conoscevo, e anche adesso a parlarlo farei accapponare la pelle) con l'editore
di turno.
Vedere poi un mondo differente ampliava la mia concezione
del mondo cui facevo parte, il confronto era sempre più aperto, e mi sentivo
sempre più una goccia nell'oceano. Nonostante questo, già essere lì mi pareva
una vittoria. Iniziai ad avere qualche proposta di prova di colorazione, non
andò tutto bene, ma fa parte del gioco.
Da li, il passo per il Gotem fu quasi istantaneo.
Eravamo in tre amici che volevano seriamente fare questo
lavoro, investivamo il tempo e il denaro che avevamo su questa passione, e in
tre ci si poteva aiutare anche finanziariamente. Si andò quindi dal
commercialista che prima gestiva l'associazione Fame Comics, e gli si chiese
cosa avremmo dovuto fare per fondare un gruppo di lavoro. Era fatta, nel 2008
firmammo le carte per il Gotem. Non era più un sogno, era realtà.
Credo che il nostro essere complementari sia stato sempre un
punto di forza, gusti differenti, idee differenti, culture differenti, non
poteva che o andare tutto in malora nell'arco di pochi mesi o andare alla
grande.
Sono anni che lavoriamo assieme, che viviamo praticamente
assieme, siamo un po' come una famiglia, infatti i contrasti non sono mai
mancati, ma il rispetto reciproco e la stima professionale che nutriamo l'un
l'altro sono sempre stati presenti.
MALISAN: Ci siamo incontrati come partecipanti ad un breve
corso di fumetto tenuto da Davide Toffolo. Compito di fine corso era la
realizzazione di una fanzine e, non avendola finita in tempo, abbiamo
proseguito gli incontri tra noi dopo la fine delle lezioni, per completarla. La
cosa ci è piaciuta, a quel numero 0 sono seguiti altri, i nostri incontri si
sono fatti regolari e così è nata l’Associazione Culturale Fame Comics e la sua
attività di piccola casa editrice. Quando ho voluto tentare l’approccio
professionale al fumetto ho ovviamente cercato i miei collaboratori tra quegli amici
che conoscevo da molti anni. Dimitri e Paolo hanno condiviso l’idea di
impegnarsi seriamente in un contesto non più amatoriale ma professionale e così
nel 2008 è nato il Gotem Studio.
È notizia recente che
Dragonero ha vinto il prestigioso Premio Micheluzzi al Comicon di
Napoli come miglior serie realistica. Quali sono secondo voi le ragioni del
successo che la collana sta incontrando presso pubblico e critica?
FRANCESCUTTO: L'enorme passione che ci han messo dentro Luca
Enoch e Stefano Vietti, che sono gli ideatori di questo mondo: loro non
scrivono Dragonero, loro lo vivono,
non si limitano a scrivere storie, ma creano un mondo, con tutto quello che ci
sta dentro.
Le trame non sono semplici, non ci si trova davanti a
qualcosa di lineare; già dall'inizio sono stati messi qua e là dei semi che
sono poi diventati parte importante del racconto.
Gli appassionati lettori poi possono essere molto
meticolosi, se qualcosa non va come dovrebbe questi se ne rendono conto, tutto
deve incastrarsi sempre nel migliore dei modi.
Il fantasy ha degli elementi che vanno rispettati, e loro
hanno creato un intero mondo facendo questo, ma lo stesso sono riusciti a
metterci qualcosa che non c'era prima, un’alternativa a mondi già preesistenti.
Credo poi abbiamo avuto il grande merito di mettere su una scuderia di autori
molto professionali e capaci.
Da qualche tempo dirigo la sezione colori della serie, e
posso garantire che continuare a fare il colorista sulle mie testate e allo
stesso tempo dirigere un gruppo che può arrivare
a contare una dozzina di collaboratori può essere alquanto duro a volte. Se
penso che loro invece ne gestiscono almeno quattro volte tanto e allo stesso
tempo scrivono e lavorano su altre cose esterne, a volte dubito della loro
natura umana... Saranno forse Luresindi?
Il fatto si sia poi tutti al lavoro per la Bonelli è anche
garanzia di professionalità in altri rami della produzione. Luca Barbieri è
l'editor della serie, Marina Sanfelice è un punto di riferimento anche dal lato
tecnico, ed entrambi hanno una grande esperienza nel settore. Se poi si fanno i
nomi di tutti i disegnatori della serie che hanno anche visivamente creato
questo mondo non si finirebbe più. Qui pare stia solo elogiando quelli che ci
lavorano, ma per me è sempre stimolante avere dei colleghi di alto livello,
mette anche la voglia di fare sempre meglio.
Quindi, come detto all'inizio, la passione che uno mette nel
proprio lavoro è inevitabilmente trasmessa anche a chi si gode il risultato
finale.
MALISAN: E’ fatta bene. I creatori si sono impegnati e
soprattutto divertiti nel costruire un universo dettagliato e regolato
perfettamente. Penso che sia una delle cose più apprezzate dagli amanti del
genere fantasy. Enoch e Vietti, i due scrittori dietro Dragonero, hanno un bagaglio enorme di competenze che permette loro
di curare al meglio tutti gli aspetti della serie, non limitandosi alla
scrittura, ma gestendo in prima persona e quindi con competenza e stile anche
molti altri aspetti che in contesti differenti avrebbero difficilmente trovato
persone altrettanto coinvolte. Serviva poi la competenza e affidabilità di un
grande editore di fumetto popolare come Bonelli che investisse a lungo termine
nella concretizzazione di tale mondo complesso. C’è inoltre un mix secondo me
ottimale di tradizione e innovazione, contemporaneamente rassicurante e
stimolante. Tutti questi aspetti ben riusciti creano un vero e proprio volano
positivo: tutti noi ci sentiamo parte di un gruppo affiatato, deciso a dare il
meglio e ad alzare continuamente il livello. Sono spesso sopraffatto
nell’osservare la qualità delle pagine dei miei colleghi, si tratta di uno
stimolo continuo all’impegno. E questo i lettori lo vedono.
Disegnare e colorare Dragonero:
quali sono, se ci sono, le specificità professionali che vi richiede questa
collana o le richieste particolari degli autori?
FRANCESCUTTO: A me come colorista viene lasciato molta
libertà di azione a dire il vero. Capita sì che mi vengano date delle
direttive, ma più legate al colore specifico di capelli di questo o quel
personaggio per esempio, ma altre come le atmosfere sono scelte prevalentemente
mie.
Personalmente sono dell'idea che il colore debba essere una
cosa che accompagna il disegno, che lo valorizzi, anche se spesso mi lascio
prendere la mano. Mi piace pensare che, tra una ventina di anni, qualcuno possa
aprire un albo nel quale ci ho lavorato, e non sentire quella sensazione di
vedere qualcosa legato ad un determinato periodo. Ci sono fumetti che risentono
molto della moda del periodo in cui sono stati fatti, io non voglio che ciò
accada per Dragonero, cerco sempre di
fare in modo che siano apprezzabili sempre, senza sentirsi fuori tempo. E anche
per questo che cerco sempre di adoperare tinte naturali, mai forzate.
Lo stile poi cambia da disegnatore a disegnatore, ogni albo
per me è un lavoro differente, perché ogni autore necessita di differenti
colori su di lui. Questo poi è uno degli aspetti che più amo del mio lavoro,
mai uguale a se stesso.
MALISAN: Si tratta di disegni impegnativi, perché le ambientazioni
sono sempre molto diverse, cambiano anche ogni poche pagine e tutte richiedono
studio e attenzione. Il materiale di riferimento è moltissimo, ma non può
essere esaustivo perché si tratta di mondi di fantasia e quindi è necessario
sempre aggiungere qualcosa in più anche alla documentazione più dettagliata.
Personaggi, veicoli, armi e oggetti sono tantissimi e diversissimi, e questo
richiede ulteriori competenze e studi. C’è inoltre il coordinamento con altri
disegnatori e la necessità di disegnare seguendo studi effettuati da altri;
raramente i punti di forza di diversi disegnatori coincidono, perciò a volte ci
si deve impegnare anche con cose che “non ci vengono bene”. Aggiungiamo che ho
la massima libertà di messa in pagina e di ricerca di soluzioni grafiche
personali, e questo è un piacere che porta con sé ulteriori sforzi di
immaginazione (e grandi soddisfazioni!).
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